La metamorfosi di Callisto

Francesco Xanto Avelli
(Rovigo, c. 1487 – Urbino, c. 1542)
LA METAMORFOSI DI CALLISTO
1525-1527 ca.
Ceramica, maiolica, (cotto porcellanato)
Diametro: 27,5 cm;
Londra, Victoria and Albert Museum
Iscrizioni:
Il retro non presenta alcuna decorazione

Note:
Il piatto si presenta in buone condizioni conservative.
Provenienza:
Già nella collezione Montferrand • passato poi nella collezione Morland • per esser trasferito a sua volta nella collezione di Alexander Nesbitt • nel 1922, infine, viene donato tramite il National Art Collections Fund al Victoria and Albert Museum da Henry Oppenheimer.
Esposizioni:
Londra 2007.
Bibliografia:
Rackham 1922; Rackham 1940; Mallet 2004; Mallet 2007 (CeramicAntica); Mallet 2007 (esp).
Commento dell’opera:
La fonte letteraria di questo piatto è la più utilizzata da Xanto, ovvero le Metamorfosi di Ovidio, in cui nel Libro II viene appunto raccontata la vicenda della ninfa Callisto. Callisto, bellissima ninfa dei boschi, aveva fatto voto di castità e passava le proprie giornate cacciando in montagna con le compagne di Artemide; ma un giorno Zeus la vide e se ne innamorò perdutamente e l’unico modo per averla fu quello di assumere le sembianze di Artemide, dato che la giovane fanciulla fuggiva tutti gli uomini: dalla loro unione nacque Arcade. Giunone, moglie di Zeus, dalla gelosia trasformò Callisto in orso ed un giorno Arcade andando a caccia si imbatté proprio in quest’orso e, non riconoscendovi la madre, era proprio sul punto di colpirlo con la propria freccia, ma a quel punto intervenne Zeus a fermarlo e a portare la sua amata e suo figlio in cielo come costellazioni: appunto l’Orsa Maggiore e l’Orsa Minore. In questo piatto si vede infatti in primo piano sulla destr Arcade che trattiene tre cani da caccia con il guinzaglio mentre sta brandendo la lancia; in primo piano, invece, sulla sinistra un cane bianco sta azzannando l’orso, che altri non è che Callisto. In cielo si vede una stella, allusione alle due costellazioni originate dalla ninfa e da suo figlio. Appeso ad uno degli alberi del paesaggio boschivo in cui è inserita la scena vi è lo stemma della famiglia fiorentina Bonzi consistente in uno scudo a campo azzurro con una banda color oro tra tre succhielli (due a sinistra e uno a destra) ed in alto tre gigli in oro in mezzo ad un motivo geometrico con quattro linee.
Tale composizione sembra scaturire totalmente dalla fantasia di Xanto, in quanto non sembra che le figura siano citazione di alcuna incisione.
