Venere che appare ad Enea ed Acante

1530

TONDINO

Venere che appare ad Enea ed Acante

Ceramica, maiolica, (cotto porcellanato)

Diametro: 25,8 cm

New York, The Metropolitan Museum of Art

Iscrizioni:
Sul retro, su cerchi concentrici di colore giallo, vi è una scritta di color blu che riporta: “ Troianos q vagos / libicasexpellit i / oras. / 1530” seguito poi dalla sigla “y/Ø”.
Note:
Il piatto si presenta in buone condizioni conservative.

Provenienza:
Di proprietà del barone Achille Seillière, Château de Mello (vendita Chevallier, Parigi 5-10 Maggio, 1890, lotto n. 46) • passa in seguito ad Adalbert Freiherr von Lanna, Praga per essere venduto alla vendita Lanna nel 1909, lotto n. 483 • trasferito ad Alfred Israel Pringsheim, Monaco di Baviera e in seguito a Zurigo (1850-1941) • venduto presso Sotheby’s, Londra il 7 Giugno 1939, lotto n. 84 • acquistato da Robert Lehman per mezzo della galleria Goldschmidt di New York • nel Marzo del 1939 il ministro tedesco del commercio autorizzò l’esportazione a Londra della collezione di maioliche di Pringsheim per una vendita da Sotheby’s (in cambio della quale lo stesso Pringsheim e sua moglie ottennero il permesso di emigrare in Svizzera) • Robert Lehman lo dona al Metropolitan Museum of Art nel 1975.
Esposizioni:
Cambridge 1939 n.42; Tokyo 1977 n.30.
Bibliografia:
Leisching 1909; Ballardini 1933-38; Chompret 1949; Tervarent 1950; Von Erdberg and Ross 1952; Rackham 1957; Mallet 1970; Rasmussen 1989; Wilson 1994; Triolo 1996.
Commento dell’opera:
Il soggetto rappresentato su questo piatto spesso è stato descritto come una vicenda presa dalla storia di Troia, in verità però non è mai stato propriamente ed esattamente identificato; anche l’iscrizione stessa spesse volte non è stata trascritta correttamente.
La storia concerne l’arrivo di Enea in Libia, il quale, dopo aver passato una lunga nottata a riflettere su come agire, decise infine di andare all’alba a perlustrare i luoghi in cui il vento lo costrinse a sbarcare, se sono ospitali oppure abitati da fiere. Nascose dunque le barche in un’insenatura boscosa e si inoltrò nel territorio insieme ad Acate.
Viene raffigurato qui l’episodio in cui la dea Venere, in veste di una cacciatrice, come fosse una fanciulla spartana, con un leggero arco in mano ed un vestito azzurro ceruleo, la quale con un gesto della mano, richiama l’attenzione del biondo Enea, seguito da Acate armato di lancia. La dea infine spiega ad Enea di trovarsi in un regno fenicio, una città fondata da Agenore nella terra dei Libi, gente indomabile in battaglia; la regina di questa città è Didone; in cambio di questa spiegazione, Enea promise sacrifici alla stessa Venere.
Com’è usuale nel metodo di lavoro di Francesco Xanto Avelli, egli riprendeva le figure dei propri personaggi da incisioni di cui presumibilmente disponeva all’interno della bottega in cui lavorava, e in effetti in questo caso le figure derivano, in controparte e ricomposte grazie alla fantasia del maestro, dalla celebre stampa raffigurante Nettuno che calma la Tempesta meglio conosciuta come Quos Ego di Marcantonio Raimondi da Raffaello (Bartsch 27, p.49, n. 352).
Sul tondino è riportato uno stemma con tre mezze lune argentee poste dorso contro dorso su fondo azzurro: si tratta di un o stemma purtroppo non ancora identificato, anche se spesso erroneamente definito come servizio Strozzi (Rasmussen suggerisce una possibile relazione con il servizio Manetti appartenuto alla famiglia Vitelli della Città di Castello (le tre lune crescenti appaiono su un affresco a Palazzo Vitelli alla Cannoniera nella Città di Castello). Questo tondino è l’unico di questo servizio a riportare una datazione.
Un’importante osservazione va fatta osservando l’iscrizione, ed in particolar modo la firma: a questa data, il 1530, l’Avelli si firma con un monogramma e ciò ha creato molti dubbi sulla paternità delle opere recanti la siglay/Ø. Rasmussen riflette sul fatto che tale sigla appare nei casi in cui la fonte letteraria da cui è ripresa la scena non viene riportata per esteso, come in genere fa Xanto, dunque suggerendo debba trattarsi piuttosto di un’abbreviazione per un “etcetera”.

[C.G.]

Su gentile concessione del Metropolitan Museum of Art di New York.

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