Esaco ed Esperia
Francesco Xanto Avelli
(Rovigo, c. 1487 – Urbino, c. 1542)
ESACO ED ESPERIA
1536
TONDINO
Ceramica, maiolica, (cotto porcellanato)
Diametro: 26,3 cm;
Bologna, Museo Civico Medievale
Iscrizioni:
Sul retro: “.1536 / A’ volotaria morte / Esaco corre. / F.X. / Ro:”
Esposizioni:
Tolosa 1988, cat. 40.
Bibliografia:
Schiassi 1814; Ducati 1923; Del Vita 1924; Ravanelli Guidotti 1985; Ravanelli Guidotti 1988.
Commento dell’opera:
In questa maiolica Xanto ha inscenato la storia di Esaco ed Esperia, narrata al Libro XI in quello che è possibile definire il testo che più ha apprezzato, ovvero le Metamorfosi di Ovidio.
Sulla destra della composizione in primo piano si vede una fanciulla stesa a terra, in posizione supina, e facilmente è identificabile con la giovane Esperia, in quanto il suo piede destro viene morso da una serpe. Al lato opposto, quindi sulla sinistra, è raffigurato un personaggio maschile canuto e barbuto, appoggiato ad un’anfora dalla quale sgorga dell’acqua che va poi a costituire quello che è il fiume che attraversa la composizione; tale figura è identificabile con la personificazione del dio fluviale, che altri non è che il padre della giovane Esperia. Esaco, il giovane innamorato della bella ninfa, occupa la parte superiore a destra ed è mostrato proprio mentre si sta gettando dall’alto di una roccia, dopo aver appreso la tremenda notizia della morte di Esperia. Il centro della composizione è occupato da Cupido che regge in mano un arco e una faretra piena di frecce, colto nel momento in cui tiene lo sguardo volto verso la fanciulla riversa a terra. Fanno cornice alla scena un paesaggio boschivo ed alcune porzioni di costruzioni architettoniche.
La composizione è frutto di una risemantizzazione e riproposizione di alcune stampe da parte di Xanto: Esperia deriva dalla Cleopatra di Agostino Veneziano da Raffaello (Bartsch 26, p. 104, n. 198); mentre la figura di Esaco sembra essere citata dalla figura di Davide nella stampa con Davide e Golia di Marcantonio Raimondi da Raffaello (Bartsch 26, p. 19, n. 10).