Marte e Venere
Francesco Xanto Avelli
(Rovigo, c. 1487 – Urbino, c. 1542)
MARTE E VENERE
1531
TONDINO
Ceramica, maiolica, (cotto porcellanato)
Diametro: 25,4 cm;
Londra, Ranger’s House, English Heritage, Fondazione Wernher
Iscrizioni:
Sul retro: “1531. Staosi i pace Vene… / bella & Marte. / .Spere. / fra: Xato Ave: Ro / vigiese pi: i Urbino”.
Provenienza:
Appartenuto alla Collezione George Schultz • acquistato successivamente (forse non prima del 1900) da Sir Julius Wernher • passato in seguito a Sir Harold Wernher • infine entrato a far parte della collezione della Wernher Foundation.
Esposizioni:
Londra 2007, cat. 34.
Bibliografia:
Wilson 2002; Mallet 2007.
Commento dell’opera:
Il soggetto di questa maiolica non fa richiamo all’opera tanto investigata da Xanto che sono le Metamorfosi di Ovidio, bensì qui sono raffigurate due divinità in un paesaggio non ben definito, probabilmente si tratta del cielo con nubi spiraliformi. Sulla sinistra si vede Marte seduto con le gambe stese su un grappolo di nuvole, vestito con la corazza blu, la lancia nella mano sinistra e lo scudo tenuto stretto con la destra, appoggiato a terra; allato opposto, anch’ella seduta con le gambe stese su alcune nuvole, si vede Venere, coperta nella sola parte inferiore del corpo da un mantello color aranciato,i capelli biondi raccolti e fermati con un fermaglio bianco; la dea regge con la mano sinistra un dardo con la punta rivolta verso il basso. Al centro, all’interno del cavetto sono raffigurati alcuni animali: a sinistra, quindi a lato di Marte, sta accovacciato un leone che guarda nella direzione di due colombe, che sono posizionate a lato di Venere. In alto, sopra a questa scena volano due Cupidi, quello di sinistra regge nelle mani due frecce, mentre quello di destra tiene in mano una torcia.
Per la propria composizione Xanto ha fatto riferimento ad alcune stampe di cui presumibilmente poteva disporre all’interno della bottega in cui lavorava; in quanto Marte pare sia ripreso dal lanciere che si vede nella Scena di Battaglia di Marco Dente di Ravenna da Raffaello (Bartsch 26, p. 210, n. 211); Venere, invece, è desunta dall’incisione raffigurante L’Invidia espulsa dal Tempio delle Muse del Maestro del Dado da Baldassarre Peruzzi; infine i due amorini sono tratti dal Parnaso di Marcantonio Raimondi da Raffaello (Bartsch 26, p. 244, n. 247).